Il morire: natura o malattia? Psicoanalisi in oncologia
Relazione a Congresso Nazionale Sipo: "Professionalità ed innovazioni in Psico-oncologia" 1-3 Ottobre 2009 a Senigallia (An) Workshop
Abbiamo costituito questo congresso nazionale intorno ai temi della professionalità e delle innovazioni in Psico oncologia; l’obiettivo di questo workshop è quello di creare un contesto di riflessione, partecipazione e scambio emotivo su quella specifica evenienza della vita che è la morte in oncologia.
Per definire il contesto farò riferimento ad alcuni autori, usando i loro pensieri e le loro impostazioni teoriche come stimoli per inquadrare, individuare ed aggiornare le nostre riflessioni e i nostri pensieri preconsci riguardo a quella percentuale della malattia oncologica che porta al morire.
Per innovare, cioè per aggiornare i nostri strumenti cognitivi ed emotivi, dobbiamo come sempre, prendere lo spunto dai contenuti teorici passati, analizzare la nostra contemporaneità ed evocare quello che in noi e nei nostri pazienti sembra essersi modificato, riflettere sulle dinamiche che sembrano essere immutate, e domandarci infine, quale può essere il motivo per cui quel qualcosa si è trasformato.
La riflessione che ha dato origine al titolo di questo workshop è stata questa: la malattia oncologica meglio di ogni altra patologia mi permette di intravvedere l’evolversi dell’odierno rapporto con la morte, perché mi sembra ipotizzabile che è il rapporto con la vita che si sta modificando.
Nel tempo presente viviamo e condividiamo una società, quella occidentale, che tende a globalizzare l’approccio alla vita, definisce in maniera sempre più omologante il modo migliore in cui sembra necessario e adeguato vivere per raggiungere e mantenere il benessere.
La riflessione sul significato e sul vissuto della morte sembra scotomizzata, sembra esserci un rifiuto a percepire quegli aspetti spiacevoli o dolorosi di cui la vita è intrisa, e che sono frammisti a quelli piacevoli e soddisfacenti.
Nell’attualità la morte viene evocata di continuo, è l’evento che genera sopra ogni altro il massimo clamore, la maggiore risonanza; la morte è un evento che va sempre più spesso in diretta.
Questo sembra un tentativo alquanto maldestro e grossolano di “usare” la morte, che viene adoperata come una chiave per attirare l’attenzione di tutti in modo sicuro ed intenso, ma morire è l’evento naturale più assodato che si verifica dopo la nascita ed è quello che può generare il massimo livello di dolore.
Mi sembra necessario ribadire il presupposto, che la persona che si ammala di cancro, entra in contatto con noi, con in più quell’esperienza del presente, ma noi abbiamo davanti tutta la sua storia, la sua struttura di personalità, le sue modalità di adattamento, i suoi meccanismi difensivi, il suo stile nelle relazioni oggettuali.
Introduco alcuni frammenti selezionati di vari autori, che con differenti aspetti teorici, possono esserci d’aiuto nel concettualizzare le differenze di personalità delle persone, e il modo in cui sulla base di queste loro peculiarità saranno in grado e come di valutare, accettare, rispondere allo stress fisico, cognitivo affettivo e relazionale, che la patologia oncologica in fase terminale impone.
Freud, S. (1912) Totem e tabù
Chi ha violato un tabù diventa tabù a sua volta
(1914) Introduzione al narcisismo
In questo scritto Freud inserì il termine “Ideale dell’Io” e precisò che i moti pulsionali sono soggetti alla rimozione se vengono in conflitto con le concezioni etiche e culturali dell’individuo.
L’individuo accetta questi ideali come un modello di riferimento per sè stesso e si sottomette alle loro pretese.
Sandler, J. (1963)
Il Sé ideale, è una rappresentazione del Sé, ..è la forma desiderata del Sé in un dato momento, il Sé che io voglio essere… il Sé ideale è, in ogni momento, una formazione di compromesso fra la condizione desiderata di gratificazione pulsionale e il bisogno di ottenere l’amore o di evitare la punizione da parte delle figure autoritarie, interne o esterne. … E’ basato sui principi morali acquisiti da altri significativi, specialmente dalla famiglia.
Rotter, J. (1954) Locus of control = (Luogo del controllo)
Il luogo di controllo, è un costrutto teorico basato su un continuum, che si riferisce a quello spazio psicologico per cui gli individui credono di poter controllare gli eventi che li interessano.
Gli individui con un alto valore interno di Locus of Control credono che gli eventi derivino soprattutto dai loro comportamenti ed azioni; hanno migliore controllo del loro comportamento, sono più attive.
Quelli con un alto valore esterno di Locus of Control credono che il destino, o il caso determinino gli eventi, non sono propensi a credere che i loro sforzi produrranno un buon risultato, cioè non credono che lavorando molto riusciranno a raggiungere i loro obiettivi, perché il risultato dipende da fattori esterni.
Seligman, M. (1975) Learned helplessness = (Impotenza acquisita)
Una condizione mentale in cui la persona ritiene di non avere controllo sui propri fallimenti e che essi siano inevitabili.
L’essere Learned helplessness si presenta spesso in bambini che sono cresciuti in ambienti sociali duri in cui il successo è difficile da raggiungere, hanno fallimenti scolastici ripetuti, rispondono meno intensamente al coinvolgimento scolastico, e usano le loro stesse difficoltà come uno scudo per giustificare i loro fallimenti.
Velting, D. (1998)
Ha studiato il rapporto fra mancanza di speranza e le variabili di personalità trovando connessioni dirette tra la mancanza di speranza e la struttura nevrotica, e al contrario connessioni inverse tra la mancanza di speranza e i tratti di Estroversione e Coscienziosità, come pure atteggiamenti di Apertura all’esperienza e di ricerca di Accordo.
Altre analisi rilevano correlazioni positive dirette tra la mancanza di speranza la Vulnerabilità e la Depressione, e inverse nell’Impulsività.
Bennett K.K.,& Elliott, M. (2005)
Le persone con uno Explanatory style = Stile esplicativo (cioè il modo in cui le persone si spiegano il perché di un particolare accadimento negativo o positivo) pessimistico tendono ad indebolire il loro sistema immunitario, ad avere un recupero meno efficace dai problemi sanitari, ad aumentare la vulnerabilità ai disturbi secondari (per esempio freddo, febbre) ed alle malattia importanti (es: attacco di cuore, cancro).
Giese-Davis, J, Spiegel, D. (2003) Human shock absorber = Persone che assorbono i traumi.
Coloro che sviluppano un cancro sono più abituati a reprimere le proprie emozioni, specialmente quelle negative come la rabbia, possono essere definiti: Human shock absorber.
Mantenere un atteggiamento positivo nei confronti della malattia impedisce, a queste persone, di sfogare tutta la rabbia accumulata; il cancro evoca necessariamente forti emozioni in relazione a questioni esistenziali, danni corporei, effetti collaterali dei trattamenti, perdita di abilità, fatica.
La Repressione dei sentimenti, sembra essere correlata con l’incidenza e il ritorno del cancro; sentimenti depressivi alla diagnosi sono naturali, ma la loro negazione è un fattore di rischio associato con una sopravvivenza più breve.
Se una persona ha come stile di regolazione degli affetti la Soppressione, la Negazione, questa sua modalità è al di fuori della sua coscienza, quindi non riporta nei colloqui questi sentimenti che non percepisce; ma senza comprensione ed espressione degli affetti negativi, questi possono innalzarsi sino ad un esplosione emotiva.
Questi affetti negativi, in quanto precedentemente nascosti e negati, quando salgono alla coscienza risultano molto distruttivi, alieni, e minano ancora di più l’auto percezione della capacità di coping; molti pazienti non ne parlano o minimizzano, perché sono terrorizzati da quella che sentono, (come un ulteriore incapacità di contrastare il male), cioè si sentono indifesi dal punto di vista fisico, perché si sono ammalati e dal punto di vista psicologico perché si sentono impotenti e vinti.
Per scendere nell’attualità riporto un articolo apparso sul Corriere della Sera dell’11 Agosto scorso: “Cibo, eros e violenza La dittatura dei desideri Senza limiti: così gli eccessi sono diventati di massa” di Remo Bodei filosofo, dove veniva disegnata in una interpretazione storico-filosofica l’evoluzione sociale ed individuale dei concetti di misura, di limite, di consumo, sino al raggiungimento della consapevolezza che l’eccesso allontana dalla gratificazione.
Questa è una visione del presente, ma quando io ero bambina ci veniva insegnato che: “La tua libertà finisce dove comincia quella dell’altro“.
Il quotidiano non è più vissuto come una costante occasione di bilanciamento tra piacere e dispiacere, tra bene e male.
Alzarsi la mattina, non porta a quella ricerca dell’equilibrio omeostatico tra i propri desideri e l’accettazione altrui, quanto al tentativo di rimuovere tutti gli ostacoli che ci separano da una gratificazione totale e da una assenza del dispiacere, cioè avere tutto e prima possibile, chi ci riesce prima e meglio non è più una persona infantile ed esaltata, ma un vincente. (winner vs looser)
Freud chiamava questo processo il tentativo di ripristinare il narcisismo primario, cioè quel modo di vivere la realtà, che è sano per il bambino, ma distruttivo per l’adulto.
Un bambino sano che vuol essere al centro di un mondo del quale non percepisce i limiti e del quale invece riesce a distinguere solo il sentimento di piacere e quello di dispiacere, quindi gode quando è sazio, è disperato e fa di tutto per abbreviare o evitare il momento inevitabile del dispiacere; questa è l’occupazione giusta del lattante, che non deve pensare ad altro che a crescere sano e contento, perché c’è chi lo protegge e lo ama.
Ma la situazione di narcisismo primario è disfunzionale in età adulta, la società per accoglierci e proteggerci ci impone restrizioni e deroghe al soddisfacimento, i baccanali, i carnevali, le feste, da sempre sono serviti come contenitore autorizzato delle pulsioni censurate, Freud in “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” (1921) sottolineava: “…l’assenza di libertà del singolo all’interno della massa”.
Nel quotidiano sembra cambiato il rapporto di equilibrio tra piacere e dispiacere, analizzando alcuni comportamenti, che a livello sociale divengono sempre meno marginali, si può tentare di ipotizzare che nell’aumento di compulsività negli acquisti, nell’abuso di alcool e sostanze psicotrope, nei comportamenti a rischio di incolumità propria e altrui, nei comportamenti antisociali e delinquenziali, nelle reazioni impulsive ed aggressive e soprattutto nella mancanza di rimorso per le azioni commesse: si nascondano disturbi di personalità.
Anche in questi quadri clinici c’è una modificazione della capacità di percepire la realtà, se stessi e gli altri, qui troviamo la difficoltà nel controllo degli impulsi, e la variabilità estrema degli affetti.
Questa digressione, beninteso incompleta, ci serve da forte stimolo per iniziare a riflettere sulle differenze e le costanti che troviamo quando in questo momento sociale ci confrontiamo cognitivamente ed emotivamente con persone a cui la morte è “annunciata”.
Il tumore è un nemico interno che la persona non può pensare di contrastare da solo.
Quindi vorrei aprire il confronto su questi differenti modi di percepire ed elaborare il morire oncologico come evenienza naturale o come danno derivato da malattia.