Dal New Yorker del 5 luglio
Si dà notizia di un’iniziativa intrapresa dal NYPD, che muta la sua mission in “Proteggere servire e comprendere”.
A seguito dei numerosi casi di uccisioni o violenze gravi su cittadini non armati operate dalle forze di polizia, il NYPD ha avviato, assieme ad altre iniziative volte a migliorare e prevenire il servizio di tutela del cittadino, un laboratorio teatrale di improvvisazione allo scopo di facilitare la comunicazione e sviluppare l’empatia tra i cittadini e le forze dell’ordine metropolitane.
Sette coppie composte da ufficiali del distretto e sette civili, scelti tra la popolazione rappresentativa, intraprendono questa esperienza di improvvisazione teatrale.
Dal resoconto di questo incontro:
Si inizia dal condividere una cena assieme, poi i partecipanti si siedono tutti in cerchio, cantano un madrigale medievale per riscaldare l’atmosfera, quindi giocano a mantenere una palla in aria il più a lungo possibile.
Si iniziano poi alcuni giochi di ruolo e di immedesimazione, un esempio è il gioco del cappello.
Due giocatori alla volta scelgono cappelli a cui è attribuibile un “ruolo tipico” improvvisando una scena a tema. Ed ecco cosa succede:
Un cappellino da baseball indossato con la visiera dietro, la persona diventa un ragazzo che vagabonda in giro senza far nulla, l’altra persona indossa il cappello da poliziotto e gli dice:
– “Che ci fai qui, dovresti essere a scuola” –
Si introduce un altro particolare del gioco a questo punto il ragazzo di chiama José ed è aggressivo, nell’improvvisazione che segue succede che la poliziotta lo afferra per il braccio, lui si divincola, la poliziotta gli fa cadere il cappello accidentalmente dandogli una pacca sulla fronte.
A questo punto un altro poliziotto, che assiste alla scena esclama a voce alta e ridendo: “ecco l’assalto!”
In questo gioco di ruolo si comprende come molto spesso i nostri comportamenti sono non soltanto influenzati ma addirittura gestiti dai nostri schemi mentali, chi ha indossato il cappellino ha fatto lo straffottente, come se tutti i ragazzi fossero così, o peggio fosse normale essere così, e la persona che ha indossato il cappello dell’autorità si è spinta a dover correggere anche solo l’atteggiamento dell’altro, da qui ne è nato un confronto ravvicinato, dove un semplice gesto fortuito per nulla grave può diventare un’aggressione fatta e subita dai partecipanti.
In questo frangente diventa chiaro come non sia la persona che indossa il cappello, ma il cappello che fa la persona e il suo comportamento.